domenica 27 giugno 2010

da Madame Bovary di Gustave Flaubert

Aveva letto Paolo e Virginia, e aveva sognato la casetta di bambù, il negro Domingo, il cane Fedele, ma soprattutto la dolce amicizia di un bravo fratellino che vada a cogliere per noi frutti rossi su un albero più alto di un campanile, o che corra a piedi nudi sulla sabbia, per portarci un nido di uccelli.
All'età di tredici anni suo padre la condusse con sé in città per metterla in collegio. Scesero in un albergo del quartiere Saint-Gervais, e mangiarono in piatti dipinti che illustravano la storia di madamigella di La Vallière. Le leggende esplicative, tagliate qua e là dai graffi dei coltelli, glorificavano tutte la religione, le gioie dello spirito, e i fasti della corte.
I primi tempi, in collegio, non si annoiò affatto; le piaceva la compagnia delle buone suore che, per divertirla, la conducevano nella cappella alla quale si accedeva dal refettorio per mezzo di un lungo corridoio. Giocava pochissimo durante la ricreazione, imparava bene il catechismo ed era sempre lei a rispondere a Monsignor Vicario nelle domande difficili. Vivendo senza mai uscire, nella tiepida atmosfera della scuola, in mezzo a queste donne smunte, con i loro rosari dalla croce di ottone, ella si assopì pian piano nel languore mistico che esala dai profumi dell'altare, dalla frescura delle acquasantiere e dal baluginio dei ceri. Invece di seguire la messa, guardava nel libriccino le pie vignette bordate d'azzurro; le piacevano la pecorella ammalata, il Sacro Cuore trafitto da frecce appuntite e il povero Gesù che cade portando la croce. Provò a stare un giorno intero senza mangiare per fare penitenza e studiava dentro di sé qualche voto da compiere.
Quando andava a confessarsi, si accusava di piccoli peccati non commessi per poter rimanere più a lungo inginocchiata nell'ombra, con le mani giunte e il viso contro la grata, ascoltando i bisbigli del prete. Le parole fidanzato, sposo, amante celeste e matrimonio eterno, che ricorrono così spesso come paragoni nelle prediche, suscitavano nel fondo del suo cuore dolcezze inattese.
La sera, prima delle preghiere, aveva luogo nella sala di studio una lettura religiosa. Durante la settimana si leggevano sommari di storia sacra o le Conferenze dell'abate Frayssinous; e la domenica, per ricrearsi, qualche passo del Genio del Cristianesimo. Con quanta intensità ascoltò, le prime volte, la lamentazione sonora di quelle malinconie romantiche, reiteranti tutti gli echi della terra e dell'eternità! Se la sua infanzia fosse trascorsa nella retrobottega di un quartiere commerciale cittadino, avrebbe potuto entusiasmarsi per i travolgimenti lirici della natura che giungono a chi vive in città soltanto attraverso l'interpretazione degli scrittori. Ma ella conosceva anche troppo la campagna, i belati degli armenti, i prodotti del latte, gli aratri. Abituata alla tranquillità, desiderava per contrasto tutto ciò che era movimentato. Amava il mare soltanto per le sue tempeste, e la vegetazione solamente se cresceva a stento e rada in mezzo alle rovine. Era necessario per lei trarre dalle cose una specie di utile personale e respingeva come superfluo tutto ciò che non appagasse la brama immediata del cuore. Era più una sentimentale che un'artista, cercava emozioni più che paesaggi.
Ogni mese veniva al convento, per otto giorni, una vecchia zitella ad accomodare la biancheria. Protetta dall'arcivescovo perché appartenente a un'antica famiglia nobile rovinata dalla rivoluzione, mangiava nel refettorio alla tavola delle suore e rimaneva con loro dopo il pasto a fare quattro chiacchiere prima di riprendere il lavoro. Spesso le educande scappavano dalla sala di studio per andare da lei. Conosceva a memoria certe canzoni galanti del secolo passato e le cantava a mezza voce mentre cuciva. Raccontava storie e novità, faceva commissioni in città a chi ne aveva bisogno, e prestava di nascosto alle ragazze più grandi certi romanzi che teneva sempre in tasca del grembiule, e dei quali divorava anche lei lunghi capitoli negli intervalli del suo lavoro. Non parlavano che di amore, di amanti e di innamorate, dame perseguitate che scomparivano in padiglioni fuori mano, postiglioni uccisi a ogni tappa, cavalli sfiancati in tutte le pagine, foreste tenebrose, cuori in tormento, giuramenti, singhiozzi, lacrime e baci, barche al chiaro di luna, usignoli nei boschetti, cavalieri coraggiosi come leoni, mansueti come agnelli, e virtuosi come nessuno, sempre ben vestiti e malinconici come sepolcri. Per sei mesi di fila, a quindici anni, Emma si imbrattò le mani con questa polvere di vecchie sale di lettura. Leggendo Walter Scott si appassionò più tardi ai soggetti storici, sognò forzieri, corpi di guardia, e menestrelli. Le sarebbe piaciuto vivere in qualche vecchio maniero, come quelle castellane dai lunghi corsetti, che passavano i giorni affacciate a una finestra a trifora, con i gomiti sulla pietra e il mento fra le mani, per veder giungere dal limite della campagna un cavaliere biancopiumato galoppante su un cavallo nero. In quel periodo si diede al culto di Maria Stuarda e, con una venerazione entusiasta, di tutte le donne illustri o sfortunate. Giovanna d'Arco, Héloïse, Agnès Sorel, la bella Ferronière e Clémence Isaure rifulgevano come comete contro la tenebrosa immensità della storia, ove spiccavano ancora qua e là, ma con assai minor rilievo, e senza alcun rapporto fra loro, San Luigi con la quercia, Baiardo morente, qualche crudeltà di Luigi XI, qualche notizia sulla notte di San Bartolomeo, il pennacchio del Bearnese, e, sempre vivo, il ricordo dei piatti dipinti che esaltavano Luigi XIV.